Lemme vince il vento by Enzo Minarelli

Lemme vince il vento by Enzo Minarelli

autore:Enzo Minarelli [Minarelli, Enzo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Le Lettere
pubblicato: 2020-04-14T22:00:00+00:00


La via maestra

Francesco Zerbini stava nel banco dietro il mio alle scuole elementari Giovanni Pascoli. Aule capienti, ariose, pavimenti a mattonelle ottagonali rosse, il primo giorno di scuola venimmo suddivisi secondo l’altezza. Pensavo d’esser Lemmino e invece qualcuno era più piccolo. Occupavo il terzo banco della fila a sinistra della cattedra, vicino alle maestose finestrone dagli aristocratici vetri belga, la Magda Ghermandi gridò a Luigino,

‒ Alzati!

‒ Forza, alzati! ‒ ripetè con voce ferma.

‒ Sono già in piedi! ‒ protestava lamentevole il povero Luigino. Il Zerbini gran menefreghista, uno spurcaciòn, se ne fotteva della buona educazione come avesse preso lezioni dal Lord Harry di Oscar Wilde.

‒ Lemme, scusa, m’è caduto un pennino, lo raccogli per piacere?

Chinavo il fianco all’indietro per raccattarlo, cosa incrociavo là sotto? Il suo arnese dritto come una filagna. Se lo stava menando a manetta mentre la maestra ordinava di aprire il quaderno a righe.

‒ Lemme e il pennino?

‒ Metti via quel pennone, se ti vede la Magda, son guai!

Era ancora radicato in Lemme il dovuto rispetto per i superiori e i regolamenti. La fifa per la punizione. Non rigavo dritto per me, per mia madre sì. Lei ci teneva che facessi bella figura.

Il primo giorno, dopo la suddivisione di noi scolaretti usando il metro come misura, nel silenzio generale la maestra ci fece estrarre dalle rispettive cartelle il nostro astuccio. Momento topico. La prima scrittura, intingere per la prima volta la cannetta nel calamaio ripieno al centro del banco. S’emozionò Lemmino rimbambito. La carta assorbente inchiostrò la vista, inbarbajères, abbagliarsi, i contorni sfumarono, l’astuccio scivolò dalle mani sudaticce. Cadendo s’aprì biforcandosi, pennini, gomme, gommine, temperino, matite, cannette, tutto il contenuto sparso sul pavimento. Il mio ego spezzato. Il primeggiare rimandato all’ultimo posto della graduatoria. Quell’astuccio ricavato da un intarsio d’ebano, lucido, pesante, con quel coperchietto ad incastro scorrevole rovinò a terra. Un tonfo fragoroso. Lo scoppio di un mortaretto alla fiera di San Biagio. Un terribile effetto concentrico a livello caratteriale, causa prima di un comportamento incerto mai sopito. Beccai l’immediato castigo. Per due ore obbligo di permanenza in classe.

‒ Posso andare ai gabinetti? ‒ chiesi timidamente alla maestra.

‒ Vietato alzare la mano per il w.c.!

‒ Grazie signora maestra, allora se ho bisogno…

‒ Lemme! Ti ho appena detto che è vietato andare ai w.c.!

Al suono della campanella, dovevo aspettare che tutti fossero usciti.

E se mi veniva da fare la mia acqua?

‒ A vag a fèr la mi aqua ‒ comunicava ai presenti nello stanzone la Ninfa avviandosi verso il gabinetto esterno. Smoccolai tra me e me, imbronciato. E se mi scappava il bisogno grosso?

Il Francesco Zerbini subì una volta la stessa penitenza, però reagì all’opposto, picchiatello com’era. Non poteva farlo in terra, andò in cielo (per questo sarebbe diventato un fighetto steward all’Alitalia). Appena sentì lo stimolo, non ci pensò su. Se lo tirò fuori e la fece sotto al banco. Noi sentivamo lo schizzo fluire mentre si addensava in rivoletto fino ad espandersi sul legno polveroso del banco (valenti falegnami lo avevano assemblato in un unico pezzo, con assi d’abete rasoterra come poggiapiedi).



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